Description:
Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro

documentato tra Pesaro, Fano e Ancona dal 1437
morto ante 18 maggio 1478

Incoronazione della Vergine, Padre Eterno benedicente e sei angeli
tra San Nicola da Bari, San Bartolomeo, San Francesco,
Santa Chiara, Santa Margherita e la Maddalena
tempera su tavola, cm 73 x 221



Questa tavola di dimensioni accentuatamente orizzontali e più contenute in altezza era verosimilmente destinata a decorare un altare con funzione analoga a quella di un dossale. La sua inclusione al catalogo delle opere tarde dell'artista pesarese è un fatto recente (Minardi 2001), successiva alla sua comparsa sul mercato antiquario viennese, dove essa recava l'etichetta di prodotto di scuola avignonese del secondo Quattrocento (Alte Meister 1998). Non sono note altre notizie circa una provenienza anteriore, ma l'operosità di Giovanni Antonio intorno al 1470 o poco prima per la chiesa e il convento di Santa Chiara a Sassoferrato, dove lascia due affreschi con la Natività e l'Annunciazione, offre un'ipotesi per l'origine del nostro dipinto, che appartiene in termini stilistici a quegli anni e che presenta immediatamente ai lati del gruppo principale i santi Francesco e Chiara, segnale di un'inequivocabile sua destinazione ad un centro dell'ordine minoritico. L'iconografia dell'Incoronazione di Maria, con Gesù che regge lo scettro sulla mano sinistra, aderisce ancora a modelli di matrice veneziana, noti in questa zona delle Marche attraverso le opere di Gentile da Fabriano (polittico già nell'Eremo di Val di Sasso ora a Brera; stendardo bifronte diviso tra la Fondazione Magnani Rocca e il Getty Museum, di provenienza fabrianese), nonché sul litorale adriatico (tavola di Pietro di Domenico da Montepulciano ora a Washington, Howard University). A Sassoferrato, nel 1468, giungeva anche la più impegnativa macchina d'altare eseguita da Giovanni Antonio [fig.5], un grandioso polittico a tre ordini voluto dai monaci camaldolesi della chiesa della Santa Croce (ora a Urbino, Galleria Nazionale delle Marche). In quest'opera trovano ulteriore sviluppo quelle prerogative formali già avviate nel trittico di San Marco [fig.2] del 1463 (diviso tra l'Ashmolean Museum di Oxford e una collezione privata, ma in origine probabilmente nella chiesa del santo a Pesaro; Zeri 1976, Berardi 1988) e che sono gli elementi qualificanti del dipinto qui discusso: la progressiva semplificazione volumetrica delle figure, ora più allungate e solenni, fasciate da panneggi fitti e verticali, accanto al disinteresse mostrato dal pittore per una verosimile ricreazione dello spazio. Questa è affidata a mezzi empirici, come si rileva dalla proiezione in tralice del trono ligneo, che rammenta gli esiti di negazione prospettica propri della produzione di Giovanni Boccati lungo il settimo decennio. Gli effetti naturalistici gracili e stilizzati, come nei riccioli di San Bartolomeo o nella barba di Dio Padre, tradiscono la profonda nostalgia per una grande stagione, quella del tardogotico marchigiano, che oramai si stava eclissando e di cui Giovanni Antonio tenta di perpetuare il ricordo nell'astratta tessitura floreale della tappezzeria nel fondale e nell'hortus crepuscolare che accoglie i santi, forse soddisfacendo le esigenze imposte dai committenti. Anche in altre opere molto mature, come la pala [fig.8] del 1473 di collezione privata (cfr. Fachechi 1998), il pittore non rinuncerà mai al fondo oro, dal quale, come in questa tavola o nel San Donnino [fig.7] del 1472 (Pesaro, Banca Popolare dell'Adriatico), i personaggi emergono immobili e colonnari.
    Questa evoluzione linguistica nel corso del settimo e dell'ottavo decennio, dovuta ai grandi mutamenti in atto da anni nella pittura marchigiana dell'entroterra e concomitante alla seconda ondata di polittici veneziani giunti nel litorale marchigiano (dai Vivarini a Marco Zoppo e Giovanni Bellini), va letta principalmente a mio parere in relazione alla crescita, nell'area in cui Giovanni Antonio ora si trova ad operare, di Antonio da Fabriano, dal catalogo del quale, per scorporo, è nato il primo corpus delle sue opere (Zeri 1948). Lo scrutinio ora più lucido delle superfici è come una timida risposta ai fiamminghismi di prima mano che avevano dato impulso alla pittura di Antonio e che verso il 1470 producono opere come lo stendardo dell'Università Cattolica a Milano, leggibili a fianco dei risultati coevi del pesarese. Certe splendide novità, come il clipeo con un busto regale inserito nell'ornato architettonico di un tassello della predella del 1468, con il Rifiuto di Giuda al cospetto di Sant'Elena [fig.6], riverberano di luci liquide che difficilmente avranno alle spalle una fonte diversa (da qui il riferimento fuorviante, ma curiosamente indicativo, del nostro dipinto a scuola provenzale), mentre nella stessa scena il profilo della santa si può accostare a quello della Vergine nella tavola in esame. Il busto di Dio Padre è invece quasi ricalcato in un dipinto inedito di collezione privata con un Santo Vescovo benedicente [fig.3], verosimilmente da inserire nella produzione degli anni Sessanta.
    Gli inizi di Giovanni Antonio vanno situati in un contesto molto diverso, in relazione alla cosiddetta 'scuola della costa'. Le prime testimonianze su di lui, che ce lo ricordano a Fano nel 1437, accanto al padre pittore al servizio di Malatesta Novello, e ad Ancona nel 1441 per eseguire affreschi perduti e altre opere (Berardi 1988), rappresentano l'appiglio documentario atto a sancire i rapporti culturali con la pittura di Bartolomeo di Tommaso, attivo dal 1425 al 1439 in quella zona nonché presso lo stesso signore di Cesena. Le opere più antiche di Giovanni Antonio, come le storie di San Biagio (Roma, Museo di Palazzo Venezia e collezione privata) e gli affreschi in San Francesco di Rovereto a Saltara, eseguiti con tutta probabilità poco lungi dal 1432, anno di morte del beato Galeotto Roberto Malatesta che vi è rappresentato, hanno una acribia espressiva debitrice essenzialmente della sua arte e alcuni aspetti che li avvicinano ad Antonio Alberti, mentre altri dipinti forse di poco successivi denotano una più decisa adesione alla pittura di Pietro di Domenico da Montepulciano e di Giacomo di Nicola da Recanati. Si tratta della decorazione della controfacciata e della parete sinistra della chiesa di San Esuperanzio a Cingoli [fig.1] (Berardi 1988, p. 175 nota 217; De Marchi 1992), dove gli angeli della Madonna di Loreto trovano un'eco a distanza in quelli del nostro dipinto, del polittico nella stessa chiesa e della Madonna della Misericordia affrescata in Santa Maria Maggiore. La carnosità molle delle fisionomie che distingue queste opere si ritrova in una predella smembrata, probabilmente antecedente, di cui sono noti tre scomparti con busti di Apostoli (Berardi 1988), siglati da iscrizioni in gotica minuscola 'uncinata', consuete in Giovanni Antonio (come nei dipinti inviati nelle Marche da Jacobello del Fiore o negli affreschi di Talamello di Antonio Alberti). Alla serie, quale tassello mediano, va aggiunto un Cristo benedicente [fig.4] che, accanto alle altre tavolette, si trovava nel 1959 a Milano presso la Galleria Celestini (Minardi 2001). L'espressività un po' arcigna, gli occhi grandi e dilatati ricordano ancora le più antiche storie di San Biagio e il San Paolo di Nicolò di Pietro (Pesaro, Museo Civico), che a Pesaro aveva lasciato un polittico di destinazione agostiniana nel corso del secondo decennio, e sono il segno di istanze espressive destinate a subire graduali mutazioni, fino al dipinto qui considerato e alla pala del 1473, nel corso di quasi un cinquantennio di attività; un percorso che dovette chiudersi non molto prima del 18 maggio 1478, quando un tale Corradino chiede di riscuotere un suo credito presso gli eredi del pittore, sintomo di quanto recente fosse stata la scomparsa di quest'ultimo.

Exhibitor: Altomani & Sons srl
Title: Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro
Category: Paintings - Italian
Period: 1400 - 1500 Price:

N° 22
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